La terapia del gioco della sabbia
Lo spazio protetto della sabbiera
È sempre con grande meraviglia e profondo rispetto che dobbiamo porci di fronte al processo spontaneo di guarigione che emerge dall’inconscio. Come terapeuti dobbiamo offrire al paziente uno spazio protetto in cui possa trovare la nostra presenza umana, la nostra capacità intuitiva, la nostra protezione emotiva. Soltanto se è presente un profondo transfert empatico il “gioco della sabbia” può attivare il processo di trasformazione. Lo spazio protetto della sabbiera e la personalità del terapeuta rappresentano il vaso alchemico all’interno del quale può avvenire la trasformazione dei contenuti che emergono dall’inconscio del paziente.
È molto difficile, almeno per me, scrivere di un caso clinico che si è svolto con la terapia del “gioco della sabbia”. Nella pagina scritta manca infatti tutta la partecipazione emotiva che circola nella stanza della terapia durante la seduta. Forse solo l’esposizione orale del caso può riflettere un poco, attraverso la voce del terapeuta, quella che può essere stata l’esperienza originaria. L’immagine fotografata può trasmettere poi a chi sa ascoltare con gli occhi e le orecchie – del cuore oltre che della mente – il profondo valore terapeutico e analitico della terapia che Dora Kalff ci ha lasciato in eredità. Questa terapia ha le sue radici nella ricerca spirituale e analitica di Dora Kalff, nella tormentata ricerca sulla psiche di Carl Gustav Jung e nelle qualità trasformative della terapia del gioco.
Dora Kalff e le sequenze dei “quadri di sabbia”
Ogni storia clinica è un caso a sé stante e non può essere generalizzata. Tuttavia anche nella terapia che illustrerò si possono seguire le sequenze che secondo Dora Kalff emergono nel “quadri di sabbia”.
– Si configura il problema contingente del paziente e si ha la possibilità di formulare una diagnosi e una prognosi.
– Emergono i complessi principali.
– Compare un’immagine transpersonale che collega immediatamente l’Io con gli strati più profondi dell’inconscio collettivo.
– Appare una serie di immagini che rappresentano un processo di trasformazione (immagini simili a quelle che illustrano il processo alchemico e i processi misterico-iniziatici in genere), fino alla comparsa dell’imago del Sé. L’imago unificante del Sé permette la riarmonizzazione della personalità e la guarigione, che si manifesta con la scomparsa dei sintomi.
– Comincia poi un processo di risalita verso l’Io; ricompaiono, cioè, immagini relative alla ricostruzione dell’Io, immagini di vita vegetativa, animale, l’imago dell’Anima o dell’Animus, dell’Ombra, il tutto integrato in una personalità più ampia.
L’inconscio prende la guida nel processo di guarigione
Questa sequenza permette di constatare come l’inconscio prenda la guida nel processo spontaneo di guarigione, quando l’analista offre al paziente uno spazio “libero” e “protetto”, uno spazio in cui il terapeuta accoglie, senza giudicare, l’esperienza del paziente, vivendola insieme a lui. La psiche regola e delimita i tempi di questo processo, sancendone la fine che viene segnalata attraverso le immagini prodotte. È necessaria allora, specie nel caso degli adulti e degli adolescenti, una presa di coscienza di quanto è avvenuto.
Ricavato da “La storia di Bianca. Il processo di individuazione nell’analisi con il ‘gioco della sabbia’ di una donna depressa”, contributo di Adriana Mazzarella in Francesco Montevecchi (a cura di), Il “gioco della sabbia” nella pratica analitica, Franco Angeli, 1997, pagg. 237-38
Nella sabbiera “le mani sanno quello che la mente non sa”
La Sandplay-therapy non può essere compresa da chi non ne abbia fatto un’esperienza personale diretta. Sembra che il contatto con la sabbia abbia un che di magico, che trasmetta energie ataviche. Quasi tutti i pazienti affondano le mani in questa terra madre, che è materiale e trascendente al tempo stesso, la accarezzano a lungo come se accarezzassero il proprio corpo o il corpo di qualcun altro. Un mio piccolo paziente che voleva sempre giocare a pallacanestro doveva ossessivamente affondare, prima del lancio, la palla nella sabbiera perché acquistasse energia!
È chiaro che ogni terapeuta, pur mantenendo il setting di base della sabbiera e degli scaffali con le statuine, sceglie spontaneamente le statuine che piacciono a lui e che pensa possano avere un senso anche per il paziente. Quindi già nella collocazione delle figurine e del materiale da costruzione passa un rapporto personale di transfert e di controtransfert tra l’analista e l’analizzando.
Nello “spazio libero e protetto” della sabbiera la creazione del paziente può essere stimolata da una esperienza o da uno stato d’animo che vuole essere espresso.
A volte lo stimolo può venire dalla vista di un oggetto esterno, al quale risponde come un’eco una percezione inconscia, o qualche emozione che giaceva nell’inconscio da tempo creando stati di malessere o di gioia che non si possono raggiungere con le parole: si dice che “le mani sanno quello che la mente non sa”. Spesso tali percezioni risalgono ai primi giorni o mesi di vita della “relazione primaria” col materno; in questo periodo non è ancora strutturato un Io che si distingue dal non-Io.
Nel processo che si svolge durante la Sandplay-therapy ogni paziente fa una sua personale “discesa agli inferi”, dove si svolgono le battaglie coi mostri per liberare il tesoro che è dentro ognuno di noi e dove è prigioniera la “sirena-anima” che non si è ancora umanizzata, ma dove già brillano le stelle, il lumen naturae degli alchimisti. L’analista deve essere in grado di creare in sé quello spazio vuoto, nel quale accogliere quanto il paziente va man mano obiettivando, rivivendo con reverente ascoltazione e comprensione la situazione remota che sta emergendo dall’inconscio del paziente.
È sempre un momento prezioso poter conoscere e condividere il pensiero di Adriana Mazzarella. Grazie.
Grazie per questa pagina ricca di suggestioni e spunti, tornerò spesso a farle visita così come nel resto del sito che rimarrà una fonte a cui fare ritorno .