Conferenze di Adriana Mazzarella su personaggi e paesaggi danteschi

Paolo e Francesca, l’amore che trascina e la musica

Mentre che l’uno spirto questo disse,

l’altro piangea; sì che di pietade

io venni men, così com’io morisse.

E caddi come corpo morto cade.

[Inf. V, 139-142]

Alla fine del V canto dell’Inferno, nel girone dei lussuriosi, Dante si sente male dopo le parole di Francesca e il pianto di Paolo: è vinto dalla pietade e cade a terra svenuto.

È il terzo passaggio di morte e rinascita, indispensabile per superare il rischio di identificarsi con la pietà suscitata da Paolo e Francesca e finire, come loro, trascinato completamente dalle emozioni, dall’istinto e dal desiderio. Il Poeta conosce bene, evidentemente, questo tipo di amore.

“Tutta la vicenda di Paolo e Francesca” ha scritto nel suo libro Adriana Mazzarella “può essere considerata, dal punto di vista psicologico, come una storia d’amore dovuta a una reciproca proiezione di Animus-Anima. Infatti i due amanti sono nello stato di dannazione non perché hanno infranto un codice morale, ma perché non si sono resi responsabili di questo amore con un atteggiamento più adulto e maturo. Questo avrebbe implicato l’uso del ben dell’intelletto, che i dannati hanno perduto; se avessero usato questa tipica funzione dell’uomo, Paolo e Francesca non sarebbero nell’Inferno” (Alla ricerca di Beatrice, p. 158).

La storia di Paolo e Francesca, come emerge dai versi così essenziali e altamente poetici di Dante, ha commosso e ispirato tanti artisti di ogni epoca, in particolare nell’Ottocento e Novecento: pittori e scultori come William Blake, Eugene Delacroix, Dante Gabriel Rossetti, Mosè Bianchi, Auguste Rodin, Gaetano Previati, Franz von Bayros, Umberto Boccioni e tanti altri.

Ma anche grandi compositori hanno intitolato a Paolo e Francesca alcune loro musiche ispirati dalla poesia di Dante. Una delle più note è la Fantasia sinfonica Francesca da Rimini, op. 32, di Petr Ilic Chajkovskij, scritta nel 1876 e articolata in tre parti (la bufera infernale, le parole amorose di Francesca, il dramma finale). Nel 1849 Franz Liszt aveva composto e dedicato a Dante un’appassionata e assai difficile Sonata per pianoforte (Après une lecture du Dante, nota anche come Dante-Sonata) e pochi anni dopo rielaborò e ampliò il suo lavoro con la Dante-Symphonie per orchestra in due movimenti (Inferno e Purgatorio): in entrambe le composizioni la vicenda di Paolo e Francesca occupa un posto centrale nel racconto in musica del viaggio di Dante.

Nei primi anni del Novecento sono state rappresentate due opere liriche ispirate dalla tragica storia degli amanti danteschi: la Francesca da Rimini di Sergey Rachmaninov, nel 1906, su libretto di Modest Chajkovskij (fratello del grande musicista) e la Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, nel 1914, su libretto di Gabriele D’Annunzio (autore dell’omonima tragedia). È singolare che nell’opera di Rachmaninov compaiano direttamente come personaggi Dante e Virgilio, che si vedono scendere nel secondo girone e comunicare tra loro e con Francesca cantando i versi di Dante.

Adriana Mazzarella è stata sempre molto attratta dalla musica e talvolta l’ha “usata” nelle sedute con i pazienti. In particolare negli ultimi anni, con l’aiuto di Enrico Frontini, l’ha studiata sotto l’aspetto psicologico e ha cercato di trasmettere le sue esperienze agli allievi. Non sappiamo con certezza se la dott. Mazzarella abbia mai analizzato queste musiche di Chajkovskij, Liszt, Zandonai e Rachmaninov quando preparava il capitolo sui lussuriosi per il suo libro.

L. A.  (22 luglio 2016)

Puoi leggere qui il pdf del capitolo sui lussuriosi del libro della dott. Mazzarella.

LINK UTILI

youtube

Fantasia sinfonica Francesca da Rimini – op. 32, di Petr Ilic Chajkovskij; si può notare la tripartizione della vicenda narrata (la prima al minuto 2:00, la seconda al minuto 10:00, la terza al minuto 20:00 circa).

youtube

Dante Sonata per pianoforte di Franz Liszt, la cui prima parte è dedicata al viaggio di Dante nell’Inferno: la vicenda di Paolo e Francesca sembra iniziare al minuto 2:10 circa (la bufera infernale), seguita al minuto 5:40 dal “dolcissimo con intimo sentimento” (le parole di Francesca) e al minuto 8:10 dal “dolcissimo con amore” (il bacio) per finire al minuto 10:00 circa.

youtube

Dante Symphonie di Franz Liszt, nella quale l’orchestra con archi e fiati riesce a far meglio sentire tante sfumature: la vicenda di Paolo e Francesca sembra iniziare qui al minuto 5:05 (la bufera infernale), seguita al minuto 7:50 dall’avvicinarsi dei due amanti (i due flauti), poi, al minuto 10:10, dalle parole tra Francesca e Dante (l’arpa e i fiati) quindi al minuto 13:35 dal racconto del bacio e dell’amore (i due violini e il seguito degli archi) per finire al minuto 17:15 (l’ultimo arpeggio).

youtube

La Francesca da Rimini

di Sergey Rachmaninov

youtube

La Francesca da Rimini

di Riccardo Zandonai

Ulisse tra etica e scienza

In un brillante e documentato articolo su La Lettura (Corriere della Sera) del 2 agosto 2015 il filosofo Mauro Bonazzi analizza la figura di Ulisse alla luce della terzina di Dante che l’ha immortalato nella Divina Commedia:

Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e conoscenza.

[Inf. XXVI, 118-120]

Pablo Picasso, Ulisse e le sirene, 1947. Dal sito http://www.corriere.it/la-lettura/
Pablo Picasso, Ulisse e le sirene, 1947. Dal sito http://www.corriere.it/la-lettura/

Dopo aver ricordato che questi versi – come ha mostrato Maria Corti – sono il riadattamento di una frase di Boezio, che a sua volta parafrasava Aristotele, Bonazzi spiega che la specificità della natura umana, secondo Aristotele, è il possesso della ragione: grazie alla loro intelligenza gli uomini possono elevarsi infatti al di sopra delle contingenze del mondo e scoprire la “cifra segreta” che tiene insieme la realtà. “Quello che Aristotele promette” continua Bonazzi, “è niente meno che vedere l’universo con gli occhi di Dio, comprendendone il significato, la necessità, la bellezza”. E proprio in questo consiste la felicità.

Anche per Dante la beatitudine è data dalla visione di Dio, “la forma universal” che lega “ciò che per l’universo si squaderna”. Ma qui le strade di Aristotele e Dante si dividono. Mentre per l’antico filosofo l’uomo può raggiungere la felicità con le sole sue forze intellettuali, per il poeta cristiano questo è impossibile, se non dopo la morte in Paradiso, grazie alla carità divina. Così si spiega, secondo Bonazzi, il “folle volo” dell’Ulisse dantesco che, per brama di conoscenza ha sacrificato la virtù: abbandonate la famiglia e la patria, è partito “per scoprire i segreti dell’universo” ma è morto “senza capire nulla, perché privo dell’appoggio divino”.

Oggi, riflette Bonazzi, l’equivalente dell’Ulisse dantesco e della filosofia aristotelica è lo scienziato: mai come ora è stato così vicino il sogno della scienza di capire i segreti della vita e dello spazio, senza preoccupazioni morali o politiche. Si pone quindi delle domande: perché gli scienziati dovrebbero interrompere le loro ricerche? Rinunciare al sogno di conoscenza condurrebbe a una vita davvero umana? E così conclude: “Ci illudiamo di progredire, ma i problemi sono sempre gli stessi. Folle o non folle, il viaggio di Ulisse è il viaggio di noi tutti, e nessuno sa a quali lande approderemo”.

Nella sua profonda ricerca psicologica sulla Divina Commedia, Adriana Mazzarella definisce l’incontro con Ulisse, nell’ottava bolgia dell’Inferno, “uno degli episodi più importanti del poema” (Alla ricerca di Beatrice, p. 204). A differenza dell’Ulisse omerico, che esprime comunque grandi valori (non si fa travolgere dalla possessione di meccanismi archetipici e sa usare il ben dell’intelletto, anche se a volte in modo fraudolento), “l’Ulisse dantesco è il simbolo del pericolo che corre l’uomo che arde dal desiderio di conoscere. L’intelligenza, infatti, può diventare l’elefantiasi del sapere; ciò che minaccia la scienza oggi. […] In questa tensione verso la conoscenza si corre il pericolo di restare prigionieri degli opposti, dimenticando la ‘sintesi’ e il punto dal quale l’uomo è partito per conoscere. Se ci si ferma alle divisioni (specializzazioni), adoperando la mente come fine a sé stessa, essa può diventare autonoma e scivolare ineluttabilmente nella freddezza priva di sentimento. Il ricercatore vero, invece, non perde di vista l’unità dell’uomo e adopera la mente come strumento meraviglioso per creare il suo mondo pratico e spirituale, […] per continuare a migliorare sé stesso, valutando col sentimento il valore etico di ciò che va dinamicamente scoprendo. Se invece si identifica con la mente l’uomo distrugge e si autodistrugge.”

L’astuto Ulisse ne è l’esempio.

L. A.  (5 agosto 2015)

Gerione

Ecco la fiera con la coda aguzza,

che passa i monti e rompe i muri e l’armi!

Ecco colei che tutto il mondo appuzza!

… La faccia sua era faccia d’uomo giusto,

tanto benigna avea di fuor la pelle,

e d’un serpente tutto l’alto fusto;

… Nel vano tutta sua coda guizzava,

torcendo in su la venenosa forca

ch’a guisa si scorpion la punta armava.

[Inf. XVII, 1-3, 10-12, 25-27]

La discesa di Dante e Virgilio nelle malebolge avviene con l’aiuto di Gerione, creatura infernale alata dal volto benigno ma col corpo di serpente e la coda guizzante che termina con aculei velenosi da scorpione, pronti a colpire a tradimento. La discesa è nel vuoto, nel buio tra rupi scoscese. Abbracciati in groppa alla fiera Dante e Virgilio diventano una cosa sola.

La selva, le belve e Virgilio

Il primo canto del poema è veramente il prologo di tutta l’opera: esso contiene in sintesi tutto il futuro svolgersi del viaggio. È il viaggio difficile e pericoloso all’interno della psiche, in quello che Jung chiama l’inconscio collettivo, col continuo rischio di rimanervi imprigionati. Eppure è solo con questo coraggio che si potranno scoprire le “segrete cose” nascoste in ciascuno di noi: esse potranno essere la nostra dannazione o la nostra salvezza, a seconda dell’atteggiamento con cui le affronteremo.

Il dubbio – Le tre donne benedette

Al calar della sera Dante muove i primi passi dietro Virgilio, la sua guida. Insieme si apprestano ad attraversare il regno delle tenebre infernali dove si celano il dolore e la pena provocati dal peccato e dall’errore umano. Il poeta ci mostra qui un’altra grande verità della psiche: l’importanza del dubbio, che spinge l’uomo a qualificare le sue scelte e a chiarirle nelle loro motivazioni e finalità.

Lucifero e la metanoia

Il Lucifero dantesco è “divino” e tricefalo: dunque è l’immagine rovesciata della Trinità superiore. È uno dei “complessi” più potenti dell’inconscio collettivo, che l’uomo non può integrare, in quanto non pertinenti all’Io, ma dal quale l’Io deve – con sacro terrore – fuggire, come fa Dante, per non esserne posseduto. Ma prima di fuggire da quell’aspetto bisogna conoscerlo molto bene, bisogna guardarlo e oggettivarlo, per quanto è possibile, onde poterlo usare come forza al servizio dell’essere-totalità. 

L’enigma più grande è rappresentato dal fatto che questo centro del male è anche il centro dell’Io, cioè di quella tendenza individualizzante della mente che porta alla formazione e al consolidamento dell’Io.

Presentazione originale del libro

Registrazione effettuata presso la Sala del Grechetto (Biblioteca Sormani) Milano, il 29 gennaio 1993

2 Commenti

  1. alessandra

    Un vivo ringraziamento per il bel lavoro presentato: le immagini e la musica, scelte con sensibilità e cura, accompagnano la conferenza della Dott.ssa Mazzarella aiutando chi ascolta ad entrare con emozione e coinvolgimento nel cuore del messaggio dantesco.
    Alessandra

    Rispondi
  2. Paola

    Sono d’accordo con quanto riportato. Il problema della parcellizzazione dell’uomo riguarda anche il corpo: iper specializzazioni, che perdono la visione di insieme dell’uomo.

    Rispondi

Invia commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *